mercoledì 24 febbraio 2016

luciferoflegreo: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore...

luciferoflegreo: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore...: Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore napoletano” hanno riproposto online a puntate il bel libro della Orefice: “Procida 1799 ...
Di recente Antonella Orefice e il  “Nuovo Monitore napoletano” hanno riproposto online a puntate il bel libro della Orefice: “Procida 1799 – La rinascita degli eroi”, ambientato nella nostra isola flegrea. Mi permetto dunque di riproporre la recensione apparsa in “Vita Flegrea” il 13 novembre 2013 in quella che, nelle primitive intenzioni, doveva essere una rubrica fissa (“L’angolo della recensione”) in una pubblicazione online che avrebbe dovuto essere pubblicata con periodicità fissa

L’ANGOLO della RECENSIONE

PROCIDA 1799 – La rinascita degli eroi

             La “Repubblica Napoletana” del 1799 ebbe anche qui, in terra flegrea, a Procida in particolare, i suoi sostenitori e di conseguenza i suoi martiri, i primi in ordine cronologico, essendo state le nostre isole i primi lembi della, purtroppo effimera, repubblica ad essere rioccupati dai sostenitori dei Borbone, già scappati in Sicilia, e soprattutto dagli inglesi loro alleati e all’epoca detentori di quella che per secoli fu la più potente flotta da guerra del mondo.   Nel breve periodo repubblicano di Procida (nell’isola solo sessantaquattro giorni) è ambientato il racconto “Procida 1799 – La rinascita degli eroi” di Antonella Orefice (Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2011). L’autrice è in realtà una storica, soprattutto del periodo della Repubblica del 1799 e penso la maggiore esperta di Eleonora de Fonseca Pimentel, tra i più famosi martiri della reazione borbonica e sanfedista. Spesso però è coi mezzi del racconto o del romanzo che si raggiungono i migliori risultati descrittivi di un’epoca.  Marx riteneva che Balzac avesse descritto l’ascesa della classe borghese in Francia, con la sua “Comédie humaine”, meglio di tanti saggi e Moravia annotò qualcosa di simile a proposito del romanzo di Conrad “Con gli occhi dell’occidente” in rapporto con gli ultimi decenni del regime zarista in Russia. Felice pertanto la scelta, da parte dell’autrice, di ricorrere alla forma del romanzo storico, ambientato in un’isola che conosce bene e in un periodo storico che conosce come pochi. È la storia dell’amore tra il notaio napoletano Bernardo Alberini (personaggio storico), commissario repubblicano a Procida, e una misteriosa Aurora. Ma attraverso la narrazione della loro breve storia rivivono personaggi storici procidani come Vincenzo Assante, medico, Giacinto Calise, semplice marinaio e soprattutto di Antonio Scialoja, colto sacerdote (quanti religiosi aderirono con convinzione alla Repubblica!), finiti poi impiccati sulla piazza di Santa Maria delle Grazie ove il patibolo era stato eretto sullo stesso posto ove i rivoluzionari avevano piantato l’ “albero della libertà”, come si usava in tutti i posti toccati dalla Rivoluzione Francese. Furono crudelmente giustiziati insieme a tanti altri il cui nome è scolpito su di una lapide nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, meritoriamente eretta, in occasione del bicentenario della gloriosa repubblica, dal Comune di Procida nel 1999.
La storia della Repubblica è stata ben descritta già dal grande Vincenzo Cuoco, uno dei protagonisti di queste vicende, con grande acume e senza acritici elogi. Per quei lettori che incolpevolmente, causa il decadimento degli studi e la distrazione odierna dei media, non conoscano del tutto la storia o le cui reminiscenze scolastiche siano un po’ arrugginite, tento di dare qui di seguito una brevissima sintesi. Le truppe della Francia rivoluzionaria erano giunte a Roma nel 1798. I Borbone di Napoli avevano stretto alleanza con l’Austria degli Asburgo (alla cui famiglia apparteneva la regina Carolina). Su richiesta di Ferdinando IV a Napoli viene il generale austriaco Mack che fu posto al comando dell’esercito borbonico. Le truppe del Reame invasero i territori romani con la non troppo recondita speranza ferdinandea di ampliare i confini del regno. Mack e i Borbone subirono però una pesante sconfitta. Il “re lazzarone” (e fellone) non trovò di meglio allora che scappare in Sicilia sotto la protezione della flotta inglese e portando via le casse dello stato (come fossero sue proprie) non prima di aver ordinato all’insignificante vicario che aveva lasciato a Napoli di distruggere la flotta per evitare che cadesse in mano ai francesi. A Napoli esisteva una corposa intellighenzia illuminista (l’illuminismo napoletano dei vari Genovesi, Filangieri etc. fu secondo, insieme a quello milanese dei Verri e dei Beccaria, solo a quello francese). Questi circoli culturali, fin dai primi anni ’90 del ‘700, influenzati dalla Rivoluzione francese, evolvevano su posizioni più decisamente rivoluzionarie anche a causa dell’involuzione in senso radicalmente reazionario della corte napoletana. L’avvento dei Borbone, infatti, in un primo momento significò la ritrovata indipendenza del reame dopo secoli di predominio straniero  (semplifichiamo per motivi di sintesi), ma, soprattutto, con il primo, Carlo (impropriamente ricordato come III) il regno si inserì sulla scia dei paesi toccati dal “dispotismo illuminato” di quello che fu detto il “’700 riformatore”. La successiva ascesa di Carlo III al trono di Spagna, inizialmente, non comportò involuzione nel governo del reame. Ferdinando (IV di Napoli e III di Sicilia e poi I delle due Sicilie), come è noto, non aveva avuto un’educazione da re. Il primogenito maschio di re Carlo (vi erano tra i figli di questo anche delle donne, morte in tenerissima età, perché la mortalità infantile era diffusa anche tra le famiglie regali, ma tra i Borbone vigeva la “legge salica” che escludeva le donne dal trono) Felipe, era demente e – pertanto – escluso dalla successione, Carlo Antonio, il secondo in linea di successione, divenne  erede al trono di Spagna  e, per i motivi casuali di cui sopra, Ferdinando fu catapultato sul trono. La madre, Maria Amalia di Sassonia, voleva far di lui un cardinale per cui fu destinato a una educazione religiosa e alle cure del reazionario principe di Sannicandro. Essendo però “re nasone” nella minore età, il regno era in realtà governato da quella che, sinteticamente, definiamo “reggenza” del Tanucci, altro grande illuminista e uomo di fiducia del riformatore Carlo III con cui era in stretto contatto. Anche il matrimonio con Maria Carolina d’Asburgo, appartenente ad una famiglia di sovrani illuminati (era figlia della grande Maria Teresa d’Austria e sorella del grande sovrano riformatore Giuseppe II) fu inizialmente non priva di vantaggi per il regno. Le cose cambiarono quando scoppiò la Rivoluzione Francese e, soprattutto, quando fu ghigliottinata Maria Antonietta, sorella della sovrana napoletana. La corte cambiò qui la sua politica in senso decisamente reazionario e represse e censurò con ogni mezzo tutte le nuove idee che già felicemente si stavano sviluppando nelle nostre terre. Le classi colte finirono dunque con lo staccarsi decisamente dalla dinastia e col guardare con sempre maggior speranza alla Francia repubblicana le cui truppe erano giunte fino a Roma.

Terminata questa (apparente) digressione, torniamo a dove eravamo rimasti e cioè a Ferdinando che, sconfitto in territorio romano dai francesi, scappa in Sicilia con la protezione degli inglesi, con la cassa e dopo aver distrutto la flotta. I napoletani illuminati (quasi tutta la classe colta), simbolicamente, prendono Castel S. Elmo prima ancora dell’arrivo dei francesi del generale Championnet. Viene quindi a Napoli, il 23 gennaio 1793, proclamata la “Repubblica napoletana” con un governo provvisorio di venti membri, appartenenti alla migliore intellettualità meridionale, e tra cui spicca tra gli altri il grande giurista Mario Pagano, autore del progetto di una avanzatissima Costituzione presentato ad aprile. La repubblica riesce, nei pochi mesi di governo, ad approvare l’abolizione dei fedecommessi e del maggiorascato e poi, solo nell’ultimo mese di vita e quindi, incolpevolmente, senza effetti pratici, l’eversione della feudalità. Perché  la Repubblica Napoletana non incontrò i favori del popolo e perché visse un tempo così effimero? Il regno, per cause secolari, era arretratissimo. A differenza di altri paesi europei, come per esempio la Francia, le condizioni economiche non avevano consentito la nascita di una corposa classe borghese (quelli che oggi chiameremmo ceti medi). In misura maggiore che altrove, dunque, la popolazione era divisa tra uno sterminato sottoproletariato e un’esigua minoranza di privilegiati. La stragrande maggioranza della popolazione era dunque, non certo per sua colpa, analfabeta e ignorante, in preda alle superstizioni; contadini vessati dai baroni nelle campagne, plebe abituata da secoli a vivere di espedienti nelle città e soprattutto a Napoli, terza città d’Europa per popolazione (e solo per questo). Dunque le masse erano facilmente manovrabili dalla Chiesa, soprattutto nelle campagne, o, come nelle città e a Napoli in particolare, pronta a vendersi solo a chi promettesse o fornisse effettivamente piccolissimi vantaggi personali. La ristrettissima classe che prese il potere nel 1799 proveniva in parte dalla classe dei privilegiati (quasi gli unici, coi preti, che potevano avere accesso agli studi) e non poteva essere  compresa dal popolo. Le casse dello stato erano vuote e il tempo a disposizione fu pochissimo perché producesse effetti tangibili per la popolazione. La Repubblica quindi, fatta da nobili idealisti, non poté conquistare le masse e, con la partita dei francesi, tornati nel nord Italia onde difendere la Francia stessa dall’ennesima offensiva della coalizione delle potenze reazionarie, rimase pressoché inerme di fronte alle masse superstiziose organizzate dal famigerato cardinale Ruffo ne “L’esercito di santa fede” onde il termine di “sanfedisti” e di fronte alla potente flotta britannica (a poco potendo l’ammiraglio repubblicano Caracciolo essendo stata la flotta fatta affondare dal Borbone). Fu Vincenzo Cuoco, che pure fu tra i protagonisti della esperienza repubblicana, a vedere, già in una lucida prospettiva storica, i limiti (non superabili in quella condizione storica data) di quella che fu una “rivoluzione passiva”, termine poi esteso all’intero processo risorgimentale. La storia è stata vista nella sua complessità dunque da subito, ben prima delle semplicistiche, astoriche e ingenue a rovescio, ricostruzioni aprofessionali degli imbrattacarte neoborbonici. Ma Napoli, come felicemente ebbe a notare il nostro grande Benedetto Croce, fu una “Napoli nobilissima”, perché i suoi martiri quali Eleonora Pimentel Fonseca, Pagano, Caracciolo e tutti gli altri, un’intera classe di intellettuali di primissimo ordine, combatterono e morirono, a seguito del tradimento di un re fellone (solo il primo di tanti altri) per abolire privilegi che erano anche della propria classe, puri e disinteressati come in nessun angolo d’Europa, Francia in primis, dove (giustamente) una classe in ascesa, la borghesia, contrapponeva i propri interessi a quelli vetusti della nobiltà, del clero e dei residui feudali. Ruffo aveva promesso a quelli che saranno considerati i primi martiri del nostro Risorgimento salva la vita, come è noto, ma la coppia regale non mantenne la sua promessa (solo il primo dei numerosi tradimenti di un sovrano cialtrone).

Quello che accadde in tutto lo stato meridionale e a Napoli, che spero di non aver mal sintetizzato sopra, si verificò “in nuce” e in anteprima a Procida, microcosmo di tutto quest’angolo di mondo. Fa parte della nostra storia flegrea che il bel libro di Antonella Orefice, che vi invitiamo, noi di “Vita Flegrea”, a leggere. Prima di terminare si vuole qui ricordare che uno dei martiri procidani del 1799 fu Antonio Scialoja, zio dell’omonimo Antonio Scialoja che fu deputato del collegio di Pozzuoli del governo costituzionale del 1848 e poi primo deputato flegreo nel parlamento dell’Italia unita nel 1861, già esule a Torino e poi ministro nel 1866 allorché introdusse in Italia il “corso forzoso” della Lira. Ma di questo parleremo più ampiamente in un altro prossimo articolo.


Procida 1799 – La rinascita degli eroi” di Antonella Orefice (Arte Tipografica Editrice, Napoli, 2011).




mercoledì 30 dicembre 2015

SU di UN RECENTE LIBRO SCRITTO DA UN NOSTRO CONCITTADINO di ELEZIONE (che tratta solo apparentemente unicamente di calcio) Roberto De Angelis – Le Partite nel Cuore –LEGMA Edizioni

SU di UN RECENTE LIBRO SCRITTO DA UN NOSTRO CONCITTADINO di ELEZIONE
(che tratta solo apparentemente unicamente di calcio)
Roberto De Angelis – Le Partite nel Cuore –LEGMA Edizioni

…. “Ebbene tutti i tifosi napoletani … potrebbero dire che il Napoli  comunque lo si deve amare perché è Napoli stessa”. Così si conclude l’introduzione dell’autore, Roberto De Angelis, al suo bel libro “Le partite nel cuore”; N:B: “nel” e non “del” cuore, e ciò non è senza significato come non priva di significato è la frase citata sul retro di copertina del grande Johann Wolfgang Goethe: “Dopo averla visitata, perdòno tutti quelli che perdono la testa per questa incomparabile città”! E’ il libro scritto da un amante del Napoli e di Napoli. Ma non è un banale testo, un altro tra i tanti, che parlano della squadra attuale ma è un libro che parla della squadra in sé e dell’amore dell’autore per la stessa e per la città che rappresenta. Il ritrovamento in un cassetto di vecchi appunti sul Napoli, sopravvissuti ai tanti sfratti causati dalle peregrinazioni cui lo ha costretto il suo lavoro di funzionario della Banca d’Italia, ha determinato la sua decisione a raccoglierli in un libro come sognava da anni ma che, solo ora che la tirannia del tempo si è allentata, ha potuto dare alle stampe. L’arco di tempo considerato va dal marzo del 1957 (quando il padre portò lui, bambino di circa sei anni, per la prima volta allo stadio, al Vomero, quando il San Paolo ancora non era stato inaugurato) al settembre del 1998, quando si interrompono gli appunti. Questi sono trascritti in ordine cronologico e a parte sono riportate alcune trasferte (necessariamente meno numerose delle partite casalinghe) e i ritratti di alcuni giocatori tra i più significativi, sempre in relazione allo stesso arco di tempo. Manca l’attualità, ma solo per non inquinare la spontaneità del racconto.
Prima di inoltrarmi nella descrizione del testo, consentitemi di soffermarmi sull’affermazione iniziale: “… il Napoli lo si deve amare perché è Napoli stessa”.
Questa non è solo l’affermazione di chi è figlio, fratello, cugino e nipote di eterni tifosi del Napoli e che per questo ha il Napoli e Napoli (è nato – fra l’altro – in pieno centro storico) nel sangue, ma è qualcosa di più.
Considero, come anche Roberto de Angelis, che il calcio rappresenti metaforicamente la società in generale, che sia un microcosmo nel quale si riflette, almeno in gran parte, il mondo esterno con tutte le sue contraddizioni. Il Barcellona, il grande Barça, è stato ed è tuttora molto più di una squadra di calcio per la Catalogna tutta. Durante il franchismo che abolì l’autonomia della regione e vietò l’uso della lingua catalana, tentando una difficile e autoritaria snazionalizzazione, il tifo per il Barça divenne un modo di continuare a sentirsi catalani, di opporsi alla omologazione forzata della regione, diversa per cultura e lingua, al resto della Spagna. In parte, ora che si parla di indipendenza, ci piaccia o meno, è ancora così. Ecco un caso in cui il calcio … rappresenta molto più del calcio stesso! Fatte le dovute differenze, la situazione del Napoli e di Napoli presenta delle analogie (senza indulgere a leghismi di reazione e neoborbonismi che il sottoscritto – a costo di farsi dei nemici – aborre). La “questione meridionale”, nata con l’Unità, è ben lungi dall’essere risolta. I grandi imprenditori “mecenati” del calcio sono tutti nelle grandi città industriali del Nord (FIAT e gli Agnelli per la Juventus, Moratti padre e figlio per l’Inter, Berlusconi per il Milan). Sono queste le squadre che più possono spendere nel “calciomercato” e che molto più spesso possono candidarsi a vincere lo “scudetto” e partecipare, e ai non remoti tempi d’oro del calcio italiano, vincere la “Champions”. Del Nord sono le grandi testate giornalistiche anche sportive (tranne il “Corriere dello Sport”), nel Nord hanno sede le maggiori catene televisive private etc. E ciò si riflette sul clima generale di esaltazione dei meriti delle squadre del Nord e sminuimento di quelle meridionali (mediamente, ovvio, senza generalizzazioni). Questo potere finanziario e mediatico si riflette sul peso delle squadre settentrionali nelle istituzioni calcistiche e, inevitabilmente, almeno il clima generale finisce con l’influenzare (ovviamente “talvolta” ma non proprio di rado) gli arbitraggi. Vittima spesso dei pregiudizi nel mondo reale (rectius: esterno al calcio), Napoli e i napoletani lo sono anche nel microcosmo calcistico. Se i napoletani si lamentano di un arbitraggio, ciò viene considerato sintomo del “vittimismo” dei napoletani, ma se (e accade di rado) il Napoli è favorito da dubbie interpretazioni arbitrali (vedi Napoli – Juve del campionato 2007/8, due dubbi rigori al Napoli) non vi è vittimismo da parte degli avversari ma semplici “giuste recriminazioni”. Il tutto senza soffermarsi sulla ferita ancora aperta dalla descrizione completamente falsata in tutti gli aspetti degli incidenti nella finalissima di Coppa Italia data, grazie ai più che inutili, deleteri e privi di professionalità giornalisti RAI, le cui fantasiose ricostruzioni permisero a (quasi) tutti i media di far passare i napoletani da vittime (addirittura un morto in un agguato) a istigatori di incidenti pilotati da fantomatici camorristi. Ma si sa, Napoli e la malavita fanno colore, fanno audience! E ancora i cori del tipo “Vesuvio lavali col fuoco”, spesso poco o nulla sanzionati, o, almeno non adeguatamente sanzionati, dagli organi sportivi preposti.  Giustamente Maradona, nel bel film – biografia dedicatogli dal grande regista Emir Kusturica, rivendica il grande valore psicologico del 6 -1 inflitto alla Juventus nella supercoppa vinta negli anno d’oro, perché il giovane argentino, proveniente dalle “villas miserias” delle periferie di Buenos Aires, abitate da tanti “tanos” di origine italiana, si era facilmente identificato coi napoletani e con Napoli. E ancora giustamente l’ex centravanti partenopeo Careca ha ricordato che, data la situazione generale, uno scudetto vinto dal Napoli vale 10 campionati vinti da Juve, Inter o Milan!
Tutto questo ovviamente non c’è nel libro che si ferma al 1998. Ma traspare sia dall’introduzione sia dai continui colloqui che ho avuto e ho con l’autore; ed è contenuto implicitamente nell’identificazione Napoli città – Napoli squadra! Nell’arco di tempo considerato vi sono anche  partite giocate in B, perché chi ama il Napoli lo segue anche quando retrocede e il nostro autore, dopo il 1998, lo ha seguito anche dopo il fallimento della società e negli anni del purgatorio della “C1” oltre, ovviamente, a seguirlo oggi.
Mi rendo conto di avere a questo punto parlato poco delle singole partite e dei singoli calciatori descritti da Roberto De Angelis. Ma non vorrei togliervi il gusto di scoprirlo leggendo il libro; vi assicuro però che trattasi di un testo chiaro e ben scritto e con la chiarezza di chi ha preso la maturità classica, quando era una cosa molto seria, in uno dei migliori licei napoletani e si è poi laureato in Giurisprudenza.
Il libro ha venduto circa settanta copie nel momento in cui scrivo. Vi spiego perché sono tutt’altro che poche. L’editoria italiana, per ragioni economiche, ha ormai rinunciato pressoché del tutto a ogni attività di “scouting”. Dal punto di vista degli editori non si può dar loro completamente torto. I lettori di professione, addetti ai numerosi manoscritti inviati, hanno un costo. La sponsorizzazione di un autore non noto al pubblico ancora di più. Meglio ripiegare sui libri di cucina o scritti da attori, imprenditori, calciatori, allenatori famosi e quindi capaci di attrarre la curiosità del sempre più esiguo numero di lettori di libri (“scritti, si fa per dire, sono in realtà redatti da “ghost riders” spesso bravi quanto malpagati). Vi è poi la concorrenza dei libri acquistabili come “gadget” in edicola in uno a giornali o riviste, e quella spietata degli “ebooks” (vi siete avveduti di quante librerie hanno chiuso?). Il libro inoltre, pur scritto da un cittadino elettivo di Pozzuoli, non ha goduto di alcuna sponsorizzazione da parte di notabili locali. In questa situazione data, parafrasando Careca, diremmo che le 70 copie vendute dal nostro Roberto De Angelis equivalgono a qualche migliaio di copie in diverso contesto spaziale e temporale. Ci permettiamo di consigliare Roberto di editare il libro anche in formato “ebook” perché, ci piaccia o meno, è questa la nuova frontiera per i vecchi, cari libri stampati.

Roberto de Angelis – Le Partite nel Cuore – LEGMA Edizioni

martedì 29 settembre 2015

… EPPURE NON MANCANO A POZZUOLI EVENTI POSITIVI … IL “PREMIO CIVITAS”.



      La sera di domenica 4 ottobre, presso il cd. Tempio di Serapide, sarà celebrata la XIX edizione del “PREMIO CIVITAS”. Qualcuno, dando soverchia importanza alla modesta persona che è il sottoscritto, blatera che chi scrive è capace solo di criticare e non vede le tante cose buone realizzate “in” e “per” questa città. E’ invece col cuore gonfio di orgoglio che dico che qualcosa di positivo, di molto positivo, si riesce a realizzare anche in questi magnifici e, per molti versi sfortunati, lidi.   
Qualche settimana fa, presso lo stadio di Antonino Pio, un’associazione privata locale (Malazé) ha organizzato una replica di “Memorie di Adriano” testo interpretato dal grande Albertazzi   e basato sul celeberrimo romanzo omonimo della Yourcenar e, giustamente, considerato un “ritorno a casa” del grande imperatore che morì a Baia e cui Antonino Pio dedicò lo stadio.
Domenica invece, nella splendida cornice del “macellum”, vera e propria icona di Pozzuoli e, ahimè, del bradisismo, sarà consegnato il “Premio Civitas” (produttore ne è, come sempre, il nostro Paolo Lubrano). Come è noto il premio viene consegnato a puteolani o campani o a personaggi che abbiano avuto una qualche relazione con la nostra città e che, essendo  noti a livello sia nazionale che internazionale, possono grazie al premio, trasformarsi in una sorta di ambasciatori di Pozzuoli e dei Campi Flegrei nel mondo. 
Il premio quest’anno sarà consegnato a:
  • ·        Samantha Cristoforetti, l’astronauta che è stata la donna che, in assoluto, è stata per maggior tempo nello spazio. Ha frequentato l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli e ha conseguito uno dei suoi vari titoli accademici presso la Federico II;
  • ·        Al regista Giuseppe Gaudino, puteolano doc come ci ricorda il cognome, già autore di un film ambientato a Pozzuoli (il bellissimo “Giro di luna tra terre e mare”) nonché regista di un film che sta riscuotendo notevole successo nella sale cinematografiche in questi giorni, “Per amor vostro” e la cui interprete femminile, la bravissima Valeria Golino, è stata insignita della “Coppa Volpi” al Festival del cinema di Venezia quale migliore attrice protagonista (Servizi e interviste su questo film ho inviato ai miei contatti fb condividendo gli appositi articoli di “Altritaliani.net”, il sito italo-francese diretto dal nostro ex concittadino Nicola Guarino). Come molti sapranno Gaudino ha partecipato a molti ltri festival internazionali con le sue opere;
  • ·        All’irpino-belga-francocanadese Franco Dragone, direttore teatrale di origini campane noto in tutto il mondo per il “Cirque du Soleil” che è parte importante ma non esaustiva delle sue importanti operazioni culturali. E che non ha dimenticato Cairano, il piccolo paese dell’avellinese (terra cara per motivi familiari a chi scrive) in cui è nato organizzando l’antologia di racconti di autori vari "Cairano. Relazioni felicitanti" poi pubblicati su “Il Mattino”.



Anche nella scelta dell’autore dell’opera che sarà data come premio, Paolo Lubrano è stato molto oculato. Si tratta dell’artista Lello Lopez, cioè di un artista della nostra città ma la cui opera trascende gli angusti confini flegrei. Potrà piacere o non piacere l’arte moderna, potrà piacere o non piacere l’arte di Lello Lopez ma, signori, qui non si tratta del solito artigiano locale che dipinge, più o meno bene, paesaggi locali di oggi o di ieri, tutti dignitosi, certo, e che comunque adornano le pareti delle nostre case, la mia per prima, perché comunque ricordano la nostra cara terra. Qui si tratta di un vero artista (e che, ricordiamo, è tra l’altro è l’autore del monumento alle vittime di Monteforte Irpino all’ex largo Palazzine)!

Nell’ambito della manifestazione relativa al “Premio Civitas”, grazie alla cooperazione con lo “Istituto di Cultura Russa Lermontov”, sarà ospitata anche la IV edizione del “Premio Lermontov”, istituito dalla “Fondazione Lermontov” e che sarà assegnato quest’anno al Teatro San Carlo ovviamente presente con la sua orchestra. Grazie a questa collaborazione, l’intera manifestazione sarà ripresa da due network molto diffusi in Russia e in tutti i numerosi paesi in cui sono presenti comunità russofone (la WARP – World Association Russian Press e lo RBN (Russian Broadcasting Network). Dunque, cosa importantissima, le nostre ricchezze paesaggistiche e culturali avranno una ulteriore eco internazionale nei paesi russofoni. Qui è da fare una necessaria precisazione. Ho degli amici in Russia, ho avuto un caro amico russo, coltissimo, divenuto cittadino italiano e prematuramente scomparso. So che il mondo di lingua russa è altamente alfabetizzato (uno dei pochi meriti dell’estinto regime sovietico), amante della letteratura, della musica e dell’Arte, tra le straniere soprattutto amano quelle italiane e francesi. Tutto il contrario del messaggio superficiale che lasciano passare i film commerciali hollywoodiani dove quasi mai manca il personaggio del mafioso russo (come di quello italiano ieri) esaltando solo uno dei tantissimi aspetti della complessa realtà russa. Dunque la doppia cerimonia del “Premio Civitas” e del “Premio Lermontov” sarà vista da diversi milioni di russofoni, cioè di una comunità emergente e affamata di bellezze culturali anche italiane; non può non essere evidente il vantaggio diretto e, ancor più, indiretto, che ne potrebbe derivare per la nostra città!

Infine, da notizie in mio possesso (preciso che, non essendo un giornalista non ho accesso a fonti di prima mano) sarà realizzato per l’occasione un sistema di illuminazione bellissimo che valorizzerà vieppiù esteticamente il “Tempio di Serapide” e che esso rimarrà a servizio del monumento e quindi della città. Una ulteriore buona notizia! … e riconosciamo i meriti di Paolo Lubrano in particolare e dell’iniziativa privata in generale … nella speranza che per il futuro gli enti locali e quelli periferici dello stato centrale diano un più robusto aiuto!  

P.S. Speriamo in un progressivo allargarsi di consensi intorno alla richiesta (fatta dalle associazioni di Ciro e Giovanna Di Francia) di recuperare agli spettacoli anche l’Anfiteatro Flavio. Non ho molta competenza, ma non mi sembra versare in condizioni disastrose e tali da richiedere incredibili sforzi. Già per brevissimo tempo, nel 1983, il monumento divenne arena estiva del San Carlo, poi l’acuirsi del bradisismo fermò tutto. Altrove gli enti locali avrebbero fatto di tutto per un recupero del genere!











   

martedì 22 settembre 2015

... DOVE I RESIDENTI IN UNA STRADA SONO GLI UNICI A NON POTERVI SOSTARE ...

       Egregio sig. Sindaco, mi accingo con la presente a scrivere l’ennesima, probabilmente  inutile, lettera  sull’ennesima ingiustizia di cui io e tanti altri residenti di via Rosini,  siamo vittime a seguito della cervellotica e per certi versi anche“illegittima” gestione delle strisce blu in questa zona.
       Il mese scorso, praticamente per costrizione, sono andato a ritirare il permesso di parcheggio a pagamento per i residenti. Dopo poco mi sono reso conto di aver pagato un ingiustificato balzello al Comune. Il perché glielo spiego di seguito. Sono andato, tramite il sito del comune, a vedere dove possono parcheggiare i residenti della zona “ZPRU SETTORE AZZURRO”, cui ho scoperto di appartenere (TABELLA 3.5 – PRINCIPALI STRADE DEL SETTORE AZZURRO), e, con una certa sorpresa ho scoperto quanto segue: 
11)    I residenti di via Carlo Maria Rosini sono tra i pochi a … non poter parcheggiare, nemmeno se muniti di regolare permesso, alla stessa via Rosini. Infatti per il lato dei numeri dispari e sino all’altezza del chiosco di giornali la sosta, su questo non breve tratto di via Carlo M. Rosini, è riservata ai residenti della ZTL1;
22)   La predetta tabella, erroneamente (?!) riporta che si potrebbe parcheggiare presso i numeri pari da 10 a 50. Falso! I VV. UU non fanno né sostare né fermare (sembrano anzi ignorare la differenza, prevista dal codice, tra sosta e fermata) all’altezza di questi numeri. Certo chi ha redatto materialmente la tabella ben sa che dal civico 10 al 50 non è stato mai apposto alcun divieto di sosta  ma, probabilmente, ignora che chi vi sosta viene contravvenzionato perché, essendo stata tracciata una linea di demarcazione della carreggiata,  parallela e molto prossima al marciapiede, i VV. UU. ritengono che la sosta lì sarebbe vietata – pur trattandosi di senso unico su  strada piuttosto ampia – forse (è uno degli arcani dell’Ente da Lei diretto) per intralcio (inesistente) alla circolazione. Del resto non vi sono, tra il 10 e il 50, stalli di alcun colore. Comunque sia neanche qui si può parcheggiare.(A proposito, ho fatto un po’ di ricerche e ho constatato che i giuristi del ramo ritengono che, linea o non linea di demarcazione, la carreggiata finisca col marciapiede … ma mi rendo conto che questi studiosi non hanno la competenza dei suoi “tecnici”)!
33)   Pur se non riportati in tabella, vi è un limitatissimo numero di stalli blu tra l’incrocio di via Carmine  e il civico 47, ma anche questo numero, striminzito rispetto alla popolazione residente … è in comune con la ZPRU Settore VIOLA!!! Quindi, mi scusi la terminologia un po’ volgare, o si ha il vero e proprio “colpo di mazzo” di trovare uno di questi pochissimi posti non occupati da altri residenti di queste DUE zone … o i residenti di via Rosini sono alla fine gli unici a non poter parcheggiare sulla propria strada!
44)    Fino a pochissimo tempo fa, i conoscenti mi chiedevano: “né Lù, ma tu abiti sempe ‘ncoppo o Carmine”? Da quando son nato (un decennio prima di Lei, sig. Sindaco) via Carmine e via Rosini sono sempre stati considerati un unico quartiere, quello appunto detto del “Carmine” e così anche ai tempi di mio padre e di mio nonno … ma ora sono intervenuti i mirabolanti “tecnici” del Comune di Pozzuoli e gli abitanti di via Rosini (ZPRU Settore azzurro) non possono parcheggiare a via Carmine (ZPRU Settore viola) né quelli di via Carmine a via Rosini! In compenso però i residenti di via Rosini, quelli cui è vietato parcheggiare nella strada di residenza … possono parcheggiare a Via Coste d’Agnano e via Vecchia delle Vigne, cioè a Cigliano … per fortuna la confinante città di Napoli è competenza di altro Comune altrimenti avremmo magari potuto parcheggiare presso l’ippodromo di Agnano o a Bagnoli!!! … io mica chiedo di parcheggiare sotto casa … ma neanche a due o tre kilometri!!!

Ma fin qui siamo nell’ambito delle opinioni che restano tali (anche se argomentate). Ciò che è irrazionale per me potrebbe non essere tale per Lei.  Dove invece si sconfina in oggettiva “illegittimità” da parte del Comune da Lei amministrato è nella ormai oltremodo palese, sempre più palese e priva di infingimenti, violazione dell’art. 7 co. 8 del Decreto Legislativo 30 aprile 1992, n. 285 da noi, atecnici e profani, volgarmente definito “Codice della Strada”. Mi permetto qui di trascrivere la norma: “Qualora il comune … omissis … disponga l’installazione di dispositivi di durata della sosta … omissis … su parte della stessa area o su altra parte nelle IMMEDIATE vicinanze, DEVE riservare una ADEGUATA area destinata a parcheggio … omissis … senza dispositivi di controllo di durata della sosta”. Mi può far indicare da qualcuno dei suoi collaboratori in materia dove si trovano, nella zona di Via Rosini “o su altra parte nelle IMMEDIATE vicinanze” aree parcheggiabili “senza dispositivi di controllo di durata della sosta”? Il Codice è chiaro ed è leggibile da chiunque, è una legge dello Stato, fino a prova contraria, e i “tecnici” che si occupano di sosta e traffico “dovrebbero” conoscerlo. Di certo questo Comune viola questa norma e per una amministrazione che vuole fare di questa città la “città delle regole” è una palese contraddizione con i propri propositi!!!
P.S. Qualche tempo fa, durante la notte, le mie auto erano parcheggiate “legittimamente” a Via Carmine sugli stalli, all’epoca, bianchi e “senza dispositivi di controllo della durata della sosta”. Il mattino seguente venne apposta segnaletica indicante che lì la sosta era divenuta oraria. Ovviamente coloro che avevano parcheggiato la sera prima che la segnaletica fosse apposta, non essendo dotati di capacità divinatorie, non sapevano che il mattino seguente sarebbero stati passibili di contravvenzione. Ma solerti VV.UU. o ausiliari del traffico provvidero ugualmente a sanzionare le auto già precedentemente (e al momento della sosta legittimamente) in sosta, tra cui le mie (sono molto sfortunato in questi tempi, o sono multato o trovo le ruote tranciate). Sarà questa pure la “città delle regole”  … ma ora Kelsen, Ross, Olivecrona, Carnelutti, Arangio-Ruiz, Crisafulli e gli altri maestri del diritto sono avvertiti … non hanno capito nulla del Diritto quando ci hanno insegnato che questo è irretroattivo … i “tecnici” del Comune di Pozzuoli ci informano che qui le norme possono anche essere retroattive … questa, signori, è la “città delle regole”!!!


martedì 1 settembre 2015

NOTE SU UNA LETTERA INVIATA A "POZZUOLI21" DA UN RICERCATORE PUTEOLANO RES. IN GERMANIA IN RISPOSTA AD UN'INTERVISTA A UN LAVORATORE PUTEOLANO EMIGRATO IN GERMANIA

        Egregio dott. D’Isanto (anch’io reco lo stesso cognome, magari siamo anche parenti), ho letto il suo interessante intervento di cui sopra e devo dirLe, con rispetto ovviamente delle Sue opinioni, che  suscita, da parte mia, non poche perplessità. Anzitutto, per meglio comprendere, sono andato a rileggere l’intervento del sig. Visone e nel farlo mi sono reso conto che le Sue note sono caratterizzate in  parte da una risposta, quasi punto per punto, allo stesso ma contengono anche  considerazioni di carattere generale di cui condivido solo alcune. Lei e il sig. Visone siete entrambi dei puteolani che vivono  da qualche anno in Germania e che qui tornano d’estate. Le esperienze messe a confronto sono pertanto del tutto simili (anche se ben diversi sono i motivi alla base del trasferimento) come pure i vostri giudizi, lusinghieri per le città tedesche, e che,a parte qualche differenza sul sistema di pagamento nei parcheggi, non mi sembra che differiscano molto! (Mi sono permesso, circa il piccolo particolare dei parcheggi, di inviare ad un mio amico, che vive da oltre trenta anni a Dusseldorf, un messaggio per chiarirmi anche questo secondario aspetto, ma non so se la risposta arriverà prima che finisca questo mio commento). Veniamo ai motivi di dissenso. Cosa significa che in Germania “la politica viene lasciata lavorare e tutti contribuiscono, nel loro piccolo, al bene comune”? Che gli amministratori non possono essere criticati? E allora a cosa serve l’opinione pubblica? E la libera critica non fa parte della democrazia? Interessarsi alle decisioni che, volta per volta, incidono sulla vivibilità di una città, interessarsi di come viene amministrata la “res publica” sarebbe un atto quasi incivile? Non so in Germania (ci sono stato tre volte, ma da turista) ma altrove in Occidente non ci si limita al voto, che poi viene dato all’esame di fatti e di  opinioni espressi ben prima e che contribuiscono alla valutazione “poi” espressa col voto (quindi non unicamente “al momento del voto si esprime il proprio giudizio” come da Lei testualmente affermato)! Altrove la stampa critica liberamente, le categorie manifestano liberamente, i sindacati lo stesso, si fanno petizioni e manifestazioni anche se  poi alla fine si vota. Lei ha detto di appartenere a SEL ma la sua concezione della democrazia ricorda, a me che sono un po’ più attempato di Lei, quella limitativa, anche se legittima, dei liberal-conservatori alla Malagodi! Lei poi, come anche Visone, riconosce che la questione dei mezzi pubblici non riguarda il comune e che in Germania i mezzi pubblici funzionano molto bene. Poiché i paragoni si fanno correttamente tra situazioni omogenee, una ZTL in un paese come la Germania, dove al ristorante si può comodamente pervenire coi mezzi pubblici (che non si ritirano per giunta alle 10,00 di sera come le nostre metro e cumane) e una ZTL a Pozzuoli comportano conseguenze, per ristoratori e cittadini, ben diverse! E dico questo senza entrare nel “merito” delle proteste (non sempre giuste secondo un mio “soggettivo” parere); ma indiscutibile è la “legittimità” delle proteste di una categoria che vive di questo e, in una zona deindustrializzata, dà da vivere a tanti! Lei poi è scusato sulla questione dei paletti perché negli ultimi tempi ha vissuto in Germania. Ma la polemica sugli stessi riguardava unicamente “alcuni” paletti, apposti in un secondo momento, che impedivano il senso circolatorio intorno a una rotonda (che dovrebbe essere creata per facilitare la circolazione), cosa ritenuta, a torto o a ragione, limitante l’accesso di mezzi di soccorso pubblici quali autoambulanze o mezzi dei Vigili del fuoco etc., e nulla aveva a che fare con l’accesso alla ZTL (vi sono per questo varchi dotati di fotocamere) o l’andare contro mano o altre inciviltà simili! Lei poi afferma che il “succo” del Suo pensiero è che “prima di criticare la <politica>” dovremmo fare “tutti un po’ di sana autocritica”. Sono d’accordo su quel “tutti”, cioè comprendendo e non escludendo l’Amministrazione (che Lei, ancora una volta riduttivamente definisce come la “politica” mentre, tra l’altro, anche la critica dell’Amministrazione è – latu sensu – politica). L’Amministrazione ha non pochi difetti infatti, anche se non appaiono “ictu oculi” a chi viene saltuariamente in questa città! Ne cito solo alcuni:
1)    Il Codice della Strada calpestato impunemente; cito solo esemplificativamente e non esaustivamente l’art 7 co. 8 C.d.S., cioè una legge ordinaria dello Stato che prevede una “adeguata” proporzione tra stalli “completamente” liberi, sia da oneri economici sia orari, e stalli a pagamento nella stessa strada o, se non possibile, in strade adiacenti (vedere – sempre solo per un esempio tra i tanti – la zona di via Carmine- via Rosini) e, a tal fine, Le domando: “gli enti pubblici calpestano le leggi in Germania”? E ancora Le chiedo: “quella che Lei chiama la “politica”, in questo caso, calpestando cioè le leggi, che esempio dà ai cittadini”? ;
2)    L’aver lasciato andar via, pur essendo stata aperta la possibilità contraria dalla normativa vigente,  l’ufficio del Giudice di Pace, cioè un presidio di legalità, da Pozzuoli è un atto che ha favorito la vivibilità della città? E l’aver messo nero su bianco, nel programma elettorale di centro-sinistra, il suo permanere in questa città per poi fare un “revirement” di 180 gradi è un atto edificante e democratico da parte di quella che Lei chiama “la politica” e io semplicmente “questa amministrazione”? Legga per favore la pag. 4 del programma elettorale del centro-sinistra per le elezioni locali del 2012, io non solo lo ho letto ma ho contribuito a scriverlo … e mi sento preso due volte per i fondelli, come altrove ho già scritto, la prima come elettore e la seconda come co-stilatore del suddetto programma. In Germania i programmi elettorali fanno questa fine?;
3)    Più volte, da un cittadino in particolare, ma col consenso di molti, sono stati chiesti chiarimenti sulla tenuta dell’Albo Pretorio circa numeri pretermessi, atti incompleti, allegati aggiunti a mano e/o sintetici etc.. L’Albo Pretorio, come sicuramente Lei ben sa, è quell’albo sul quale devono essere indicati, in ordine cronologico, messi on line a disposizione di tutti, TUTTI gli atti di rilievo dell’Ente Locale (appalti, concessioni edilizie, atti onerosi etc. etc.) e ciò sia per le varie norme sulla trasparenza sia per direttive cogenti dell’ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione). Perché “la politica” non risponde? Perché è illegittimamente, su cose tanto importanti, opaca?
4)    Il sig. Visone, nella sua semplicità e sincerità, aveva posto delle domande sul mercato di via Fasano, un’opera costosissima che qualche tecnico ritiene fatta male e pure di dubbia conformità alle norme vigenti. Perché la “politica” non risponde?
5)    Porsi domande come quella dei punti 1), 2,) 3) e 4) (ma tante altre sono state fatte e ci sarebbero da fare), porre domande cioè precise e su fatti precisi (e senza risposte) è proprio sicuro che siano “populismo” o “qualunquismo”? Io sapevo (ma, pur laureato col massimo dei voti in Scienze Politiche, potrei essere ignorante in materia) che populismo e qualunquismo fossero termini per indicare semplificazione dei problemi e per proporre soluzioni generiche e facili a situazioni complesse. Qui invece sono state poste domande precise che richiedono risposte precise!
Io non ho il piacere di conoscere di persona né Lei né il sig. Visone ma ho una istintiva empatia nei confronti di chi si reca all’estero per fare ricerca o per guadagnarsi il pane. Proprio per l’istintiva simpatia mi permetto di farLe notare che è ovvio che una persona semplice come Visone usi termini semplici e meno puntuali di quelli di una persona molto più acculturata come Lei. Ma mi sembra che nel dire “basta con il fumo negli occhi” non abbia certo fatto del qualunquismo – populismo ma, senza volerlo, di avere detto ciò che più letterariamente Tomasi di Lampedusa  fa dire a Tancredi prima e al Principe di Salina poi ne “Il Gattopardo”: “bisogna cambiare molte cose perché nulla cambi”. Un turista vede forse una città un po’ trasformata (mica tanto) in superficie ma chi la vive …
Cordiali saluti
Lucio D'Isanto


lunedì 3 agosto 2015